Quando poter essere soddisfatti dell’esito di un negoziato?

by Paolo Pietrogrande, September 1998

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Gli americani sono abituati a possedere il mondo; per loro possedere e’ quasi un’ossessione; o meglio, spendere; quando viaggiano per turismo sembrano ossessionati dal comprare, quasi la effettiva conoscienza di un paese derivasse dall’averci speso del denaro; un po’ come per gli Italiani, che se non hanno mangiato gli spaghetti in Tibet non si sentono contenti; Alla fila per l’immigrazione dell’aereoporto di New York gli americani di ritorno da una vacanza si riconoscono sempre: cappelli di paglia, arco e freccie polinesiani, origami colorati, capitelli ionici in plastica, tappeti peruviani con la scritta velcome cui hanno gia’ perdonato gli errori di ortografia; i turisti italiani a Fiumicino mentre aspettano i bagagli si scambiano sconsolati giudizi su quanto erano scotti gli spaghetti a Llasa, e di come nonostante questo perdurante contrattempo siano riusciti a tornare indenni in Patria; a ogni popolo i suoi crucci.

La domenica c’e’ a Pechino il mercato delle pulci, una specie di Porta Portese ancora piu’ spontanea; un grande piazzale in terra battuta, alcune strutture fisse, ormai insufficienti, qualche tettoia di latta; alcuni commercianti arrivano chiaramente da fuori con della enormi sporte di tela a righe bianche rosse e blu, srotolano le stuoie, dispongono le loro mercanzie, vasi di ceramica, coppette di porcellana, mobiletti laccati, statue di legno scolpito, rotoli con opere di calligrafia, vecchi libri, tanti libretti di Mao, anche in inglese; si accovacciano in bilico sui talloni, e aspettano.

Tra i corridoi di stuoie ricoperte di cianfrusaglie si cammina a malapena; gran parte del pubblico e’ locale, cinesi benestanti in cerca di pezzi di pregio in mezzo a tanti avanzi di una cultura rurale cui ormai tutti preferiscono gli agi della citta’; i pochi turisti all’inizio sembrano tutti terrorizzati nella calca di perdere l’equilibrio e cadere rovinado vasetti, statuine e pennelli da calligrafia; di tanto in tanto passa un cinese con sulle spalle una cassettiera piu’ grande di lui, sfiorando clienti e merci, senza mai urtare nessuno.

I cinesi negoziano con calma, studiano e apprezzano gli oggetti, il venditore si mostra disinteressato, aggiunge qualche informazione, non e’ mai insistente; ad un certo punto l’acquirente propone un prezzo, sottovoce e rapidamente, il venditore controbatte in maniera appena percettibile ed e’ fatta; oppure l’acquirente continua ad esaminare, poi si allontana, magari per tornare il giorno dopo per riprendere da dove si era lasciato il negoziato; mai un momento di confronto, di evidente disaccordo.

I turisti sono piu’ concitati, chiedono subito quanto costa, si accontentano di qualche sconto ottenuto dopo un plateale negoziato, recitato piu’ a beneficio degli altri turisti che per ottenere concessioni altrimenti irraggiungibili; i più esperti sanno che bisogna avere il coraggio di rompere la trattativa, walk away, per poter veramente capire quanto il venditore e’ disposto a trattare: se e’ quest’ultimo a riprendere, significa che c’e’ ancora margine.

Bruno ed io facciamo a gara per spuntare il minor prezzo, pur sapendo benissimo entrambi che il prezzo da noi pagato e’ comunque molto maggiore di quello che pagherebbe un locale (nessuno di noi lo ammetterebbe mai, ovviamente); per fortuna che ci sono i turisti americani ad esaltare il nostro ego.

Due signore di mezza eta’ entrano appunto al mercatino con grandi borse, per ora vuote, ma che tradiscono intenzione di fare incetta di qualunque cosa sembri loro esotico, da mostrare con orgoglio agli amici increduli, una volta tornate in patria, quasi fosse il bottino di una guerra fatta di racconti avventurosi su incontri terrificanti e chi sa quali pericoli scampati…

Una delle due deve essere un’ expatriate, una di quelle persone che vivono all’estero in trasferta, sempre con grandi disponibilità economiche, a parziale indennizzo dei disagi di vivere lontano da casa; ultimo rimasuglio di mentalità coloniale in un mondo – ed un’economia – che si vorrebbero globali; l’altra deve essere un’amica in visita; la professoressa insegna all’amica i rudimenti della difficile arte del negoziato: non posso non ascoltare incuriosito, le seguo per divertirmi un po’.

L’iniziazione dell’amica al negoziato sta per cominciare, la professoressa punta una stuoia piena di cianfrusaglie; dietro c’e’ una splendida contadinotta dal viso tondo e capelli lunghissimi adagiati su un fianco; sull’altro un bambino ormai grandicello che sta allattando; a fianco, un giovane sulla trentina, con due occhi che sprizzano intelligenza ed un corpo asciutto; il marito salta sulla stuoia di continuo, poggiando le punte dei piedi ora vicino ad un vasetto di porcellana, ora proprio affianco ad un trimbino di giada.

Prima ancora di guardare la scena o le merci, la professoressa gia’ ha chiesto quanto costano quelle coppette di porcellana dipinte a mano: no, 100 yuan per quella coppetta e’ troppo, offre 50; ma non si sposta, rimane lì impalata, la coppetta ormai stretta in mano: e’ già sua, si vede, continua a negoziare ma l’ha già comprata, l’unica a non saperlo e’ proprio lei…

Chiedo anche io, dopo aver esaminato dischetti di giada, bottigline di ceramica a forma di pupazzetto, pennelli di peli di cinghiale, teiere…; si parte da 100, ma il negoziato con le americane intanto va avanti; offro 50 yuan per 12, rumorosamente; la professoressa guarda l’amica con una smorfia “questi turisti non capiscono proprio niente…”

Continuo ad esaminare.

Le americane hanno concordato con clamore per 80 yuan per una coppetta sola, poi pero’ pagano 20 per la scatola, 100 yuan in tuttto, proprio come all’inizio del negoziato, ma sono contente per lo sconto che sono convinte di aver ottenuto.

Appena allontanate offro rumorosamente il mio ultimo prezzo: 60 yuan per 12; solita smorfia delle due americane, ormai anche l’amica e’ stata battezzata, anche lei sa. Questi turisti italiani… mi allontano con 60 yuan in mano, ben in vista, le sorpasso e sorrido; mi segue di corsa il cinesino con le dodici coppette, chiede 70, ma sa già di avere accettato 60; sono 5 yuan per coppetta; ci fermiamo davanti alle americane, lo guardo, gli sto per dare i soldi, poi indico la scatola in mano alla professoressa, faccio capire che le voglio anche io, tutte e dodici; il venditore borbotta un po’, poi si gira e corre a prendere anche le scatoline; il mio sorriso verso le americane deve aver avuto un ghigno un po’ arrogante: questi italiani, così profittatori…

Sono ripassato davanti alla stuoia più tardi, ci siamo scambiati un sorriso con la mammina, il marito mi ha indicato altre mercanzie, ho comprato un pupazzetto per 10 Yuan, senza mercanteggiare, tutti avevamo goduto della scena di poco prima…

Poco più tardi da lontano ho visto una cinesina che stava pagando due coppette simili: ha dato 10 yuan e ne ha ricevuti due di resto: quattro yuan per coppetta! speriamo Bruno Quaranta non se ne sia accorto …

paolo pietrogrande

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